E-democracy, democrazia liquida, oclocrazia

Il successo del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni politiche ha determinato in Italia una rapida accelerazione del dibattito, già in corso da diversi mesi, sulle varie espressioni della e-democracy e di come essa si possa integrare con l’obiettivo, caro ai grillini, della democrazia diretta. La questione non è affatto oziosa e si snoda su piani diversi, seppur collegati tra loro e riguarda non solo gli strumenti dell’espressione della democrazia, ma la stessa natura dell’istituto democratico.

Molti sostengono che le tecnologie siano ormai mature per il grande salto nella democrazia digitale e i primi esperimenti (anche in Italia, come questo) possono confermare tale sensazione. Eppure molti sono ancora i problemi, non solo di natura tecnica (come la possibilità di manipolazioni del sistema di voto o di quello di certificazione), ma soprattutto di natura giuridica legati all’identificazione del soggetto votante: come si fa a certificare che il votante sia chi dice di essere, che il suo voto non sia condizionato da fattori esterni, e che sia tutelato il diritto alla segretezza? È evidente che la vulgata grillina, dove la casalinga vota una legge col il suo smartphone mentre inforna le lasagne, non tiene in considerazione nessuno di questi aspetti (lo smartphone può prenderlo qualcun altro, un soggetto terzo può influenzare o decidere la votazione, non c’è nessuna attenzione al vincolo delle segretezza e, soprattutto, alla fine le lasagne non saranno un granché).

Diverso il discorso per il cd. liquid feedback, cioè l’utilizzo di mezzi e strumenti tipici della e-democracy per verificare il consenso intorno a una proposta o, secondo schemi della cd. democrazia liquidagestire in maniera dinamica il meccanismo della rappresentatività alterando la delega e la partecipazione diretta a seconda delle circostanze.

Nel caso in cui questi strumenti vengano spinti ulteriormente (è la proposta del M5S) la democrazia liquida può essere assunta come modello operativo della democrazia diretta. Ho già espresso (specialmente in questo articolo) buona parte delle mie riserve su questa idea, che ritengo sbagliata in ogni sua possibile espressione. In questa occasione, tuttavia, vorrei ampliare quanto già detto con altre due considerazioni. La prima la prendo in prestito da una suggestiva espressione che ho udito un paio di giorni fa dal prof. Alessandro De Nicola. Secondo lui, la democrazia diretta digitale si riduce inevitabilmente alla «dittatura dei bimbominkia»: dal momento, infatti, che il meccanismo democratico implica la necessità di votare con una certa frequenza e che, di norma, le persone tendono a occupare con il lavoro buona parte del tempo in cui non dormono, la categoria umana maggiormente rappresentata nel sistema di democrazia diretta digitale sarebbe inevitabilmente quella della pletora di nullafacenti “smanettoni” (cit.) che possono passare ore di tempo al PC non avendo null’altro da fare. Seppur dalle tinte demenzial-apocalittiche, ritengo che in questa affermazione ci sia una buona parte di verità.

La seconda considerazione è meno faceta e rimonta al pensiero classico, quando si faceva ben attenzione a distinguere democrazia (il governo del popolo attraverso un meccanismo di delega) e oclocrazia (il governo  delle masse). Così, ad esempio, il neoplatonico Proclo, commentando l’Alcibiade del suo maestro:

Se il popolo, infatti, è una moltitudine in qualche modo ordinata a se stessa, la massa, viceversa, è una moltitudine disordinata, sicché anche nei governi occorre distinguere l’oclocrazia dalla democrazia: l’una infatti è disordinata e tendente all’illegalità e all’errore, l’altra ordinata sotto le leggi. [Proclus Phil., In Platonis Alcibiadem I (4036: 007, Ed. Westerink, 1954)]

Ma già prima di lui Polibio aveva parlato dell’oclocrazia come degenerazione della democrazia:

Quando questa (scil. la democrazia) a sua volta si macchia di illegalità e violenze, col passare del tempo si costituisce l’oclocrazia  [Polybius, Historiae (0543: 001, Ed. Büttner–Wobst, 1967. VI, 4)]

C’è qualcosa di più profondo di «violenza e illegalità» (ὕβρις καὶ παρανομία) nell’endiadi che descrive l’oclocrazia: la hybris, infatti, è in realtà un terminus technicus della tragedia greca che designa la tracotanza con la quale l’uomo osa sfidare gli dèi. In quest’ottica si capisce il senso di παρανομία (illegalità), come un atto contro la natura stessa dell’uomo. Non molto diversa la mentalità cristiana, dal momento che uno dei più importanti esempi di oclocrazia viene proprio dal Nuovo Testamento:

Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. (Mc 15,6-15)

Ora come allora, la possibilità che la massa (cioè l’elettore ideale del grillismo) possa decidere con consapevolezza e competenza su qualsiasi cosa, è prossima allo zero. Qualche tempo fa il prof. Monti si chiedeva retoricamente quale sarebbe stato l’esito in Francia e in Germania di un referendum sulla dichiarazione Schuman del 1950 a 5 anni dalla fine della guerra mondiale che proponesse la messa in comune delle risorse. È del tutto ovvio che se la decisione che diede vita alla Comunità Europea del carbone e dell’acciaio non fosse stata presa da un ristretto (e illuminato) gruppo di persone, oggi l’Europa semplicemente non esisterebbe.

La conclusione di questa breve panoramica non è un’abdicazione tout-court ai principi della e-democracy. Ritengo, viceversa, che il liquid feedback possa essere uno strumento di qualche utilità in alcuni ambiti come i processi di data harvesting o semplicemente per ottenere informazioni sul consenso alle periferie di un processo decisionale e, in misura minore, strumento concreto di partecipazione politica. Ciò che, invece, non può e non deve essere, è il vettore della democrazia diretta. Come scrive stamane Angelo Panebianco «la democrazia rappresentativa è la sola democrazia possibile. La partecipazione via web può influenzarla, ma non surrogarla».

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