Verso l’IVA al 22%

L’aumento dell’ IVA che, salvo miracoli dell’ultim’ora, entrerà in vigore tra pochi giorni, può ben dirsi un termometro dell’azione di governo. Sullo sfondo stanno da una parte le innumerevoli dichiarazioni (specie dal parte PDL) sulla necessità di scongiurarlo in ogni modo, dall’altra la presa di coscienza della scarsità di risorse necessarie, come più volte ha ricordato il ministro Zanonato.

Certo, che lo stato non riesca a reperire 4 mld all’anno (per la precisione 2 per ciò che resta del 2013 e 4 dal 2014) quando ne spende per il suo funzionamento circa 715 al netto degli interessi è piuttosto soprendente: è come se un precario con uno stipendio da €1000 non riuscisse a risparmiare 5 euro e 60 centesimi su base mensile. Talmente strano, che fa montare una certa rabbia, dal momento che non è difficile avvedersi che non sembra esistere alcuna volontà di procedere a tagli di spesa strutturali, come afferma giustamente Oscar Giannino:

Dopo anni di studi e revisioni, sappiamo bene dov’è, la spesa tagliabile con effetti non recessivi. Nei 145 miliardi annui di costi intermedi della PA, leggi forniture, negli oltre 2 punti di Pil annui di spesa in costi generali della PA italiana, rispetto a quella tedesca. Senonché il governo mostra rilevanti difficoltà su questa strada. (fonte)

Sulle possibili coperture, infatti, fino ad oggi si è parlato più di aumenti di altre tasse (ad es. le accise sugli alcolici o la nuova tassa sulle sigarette elettroniche) che di misure di riduzione di spesa, sebbene sarebbe logico attendersi che se ci fosse un governo in grado di procedere a drastiche misure di tagli strutturali sarebbe proprio uno di Große Koalition. Ma questa non è la Germania del 2006, e sembra piuttosto evidente che i rispettivi interessi di PD e PDL a non chiudere i rubinetti della spesa pubblica verso segmenti del proprio elettorato costituiscono ancora una volta un ostacolo insormontabile ad affrontare il problema con la risolutezza necessaria. Anche gli 80 provvedimenti del recentemente varato “decreto del fare”, coerentemente alla linea seguita sin qui, sembrano infatti non contenere né significativi tagli di spesa, né prosecuzione del suo processo di razionalizzazione (cd. spending review) iniziata sotto il governo Monti, come nota giustamente Panorama.

C’è da chiedersi, infine, se gli onn. Fassina e Brunetta abbiano riflettuto sul fatto che il gettito previsto dall’aumento di un punto di IVA potrebbe essere molto diverso, sia per effetti diretti che indiretti, in caso di un ulteriore (e prevedibile) contrazione dei consumi come stimato (con tutte le cautele del caso) da Confesercenti:

Un calo dei consumi di 2-3 decimi e una perdita di gettito di circa 300 milioni, oltre a un aumento dell’inflazione di almeno tre decimi e un calo del Pil di 2 miliardi.

Con queste premesse, non ci si stupirà neppure se un “liberale, liberista e libertario” come Piercamillo Falasca in questo articolo si spinga ad affermare che questo livello di tassazione sia “immorale”, rompendo di fatto un tabù secondo cui liberismo e stato etico sono rette parallele destinate a non incontrarsi mai.

 

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