Moslenomics

Warren Mosler è un personaggio brillante, dotato di un eccellente sense of humour e del raro dono di quella sintetica chiarezza che tanto manca ai politici della penisola. Mi piace pensare che sia questo il motivo per cui sia divenuto un guru di fama mondiale, e non tanto per le sue teorie sulle quali, onestamente, rimango piuttosto perplesso.

Secondo Mosler lo Stato deve compensare quella parte di attori economici che invece di spendere il proprio reddito (o oltre il proprio reddito) decide di risparmiare. Se tale compensazione non avviene, si determina un meccanismo recessivo che produce un innalzamento della disoccupazione. È questa, infine, che innesca effettivamente le crisi economiche. Partendo da questo presupposto, il nostro sostiene che pressoché qualsiasi governo, agendo sulle leve fiscali appropriate, sarebbe in grado invertire una crisi in corso.

La ricetta Mosleriana per far uscire l’Italia dalla crisi sta semplicemente nell’innalzare all’8% il limite di sforamento tra deficit e PIL che la UE ha fissato al 3%: in sostanza deficit spending per 75 mld oltre il consentito, come dire 17 IMU prima casa e passa la paura.
In alternativa, si potrebbe uscire dall’Euro – una cosetta da nulla – e stampare una Nuova Lira ma mantenendo il risparmio privato in Euro e il tasso dei titoli di stato prossimo allo zero. (Si può leggere una più dettagliata sintesi del pensiero di Mosler a questo link.)

Anche ammettendo come possibili le premesse, non si può non riflettere su almeno un paio di punti:

– Mosler sostiene che le politiche espansive in USA non stiano funzionando. Questo (ammesso che ciò sia vero, come in effetti non sembra), lascia intendere che ciò che non va non siano le politiche espansive in sé, ma quelle precise politiche espansive. Mosler sembra proporre, infatti, l’immissione di liquidità non attraverso l’auto-acquisto di titoli di stato, ma tramite elargizioni più o meno dirette alla quota di cittadinanza fuori dal mercato del lavoro. Qualcosa di molto vicino al “reddito di cittadinanza” di afflato grillino.
– Nella presentazione delle sue tesi non c’è stato alcun riferimento alle differenze – invero piuttosto marcate – tra il contesto americano e quello europeo. Liberista il primo, socialista il secondo; dinamico il primo, statico (imbrigliato dalle autolesioniste norme UE) il secondo; dotato di politiche unitarie il primo, frammentato il secondo. Per non parlare del caso italiano, in cui alla mancata efficienza dei processi economici dovuti alla incapacità di gestire razionalmente la spesa pubblica e alla diffusa corruzione si unisce anche una strutturale mancanza di efficienza, dal momento che la maldestra riforma del Titolo V determina da anni sovrapposizioni e duplicazioni di competenze tra Stato centrale e Regioni.

Last, but not least, se l’Italia uscisse dall’Euro per iniziare a stampare pizze di fango, come verrebbe percepita dalla comunità internazionale? Chi comprerebbe titoli di Stato in pizze di fango ad un tasso nominale dello zero %? Può anche andar bene, infatti, vedere il deficit spending come un’altra faccia del debito pubblico, ma un conto è sforare di 75 mld (già un’enormità), un conto è dover far fronte ad una spesa pubblica di 800 e passa mld (di Euro!) con tasse e bond espressi entrambi in pizze di fango.

Ma soprattutto, prima di lanciarsi in avventure monetarie improbabili e – forse ancor peggio – di pagare disoccupati per scavare buche e altri disoccupati per ricoprire le prime, non sarebbe più sensato affrontare i problemi strutturali di efficienza ed efficacia che affliggono l’Italia e – magari – utilizzare i risparmi per una drastica riduzione del carico fiscale, vero ostacolo alla crescita, e ormai anche alla libertà della cittadinanza?

Polidori

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