Democrazie senza democrazia

Massimo L. Salvadori, Democrazie senza democrazia. Laterza, Bari, 2011.

Il saggio, agile e sintetico, è pensato per una platea di lettori sufficientemente vasta da poter fare a meno di technicalities e di un serio apparato bibliografico. L’autore, che si professa discepolo di Giovanni Sartori, si distacca tuttavia dal pensiero del maestro per avvicinarsi, fin quasi alla sovrapposizione pedissequa, alle posizioni di Luciano Canfora autore, anch’egli, di un recente lavoro assai simile.

Il tema è chiaro e affrontato in maniera diretta: le democrazie del terzo millennio, specie quelle più sviluppate, soffrono ormai di un monopolio dei poteri economici tale che in ultima istanza sono queste nuove oligarchie a determinare, per via diretta o meno, gli attori e gli equilibri del potere. Se, infatti, negli Stati Uniti, è sempre più evidente che il successo nelle elezioni presidenziali è sempre più funzione diretta delle enormi quantità di denaro investito, anche nel vecchio continente pochi oligopoli esercitano un’influenza – e talora un controllo – tanto sui mezzi di informazione (con pesanti ricadute elettorali) che sugli stessi attori istituzionali.

Le premesse sono sufficientemente solide. Tra queste va menzionato innanzitutto il concetto, su cui molto abbiamo riflettuto in questo blog in passato, di “sacralizzazione della democrazia”, secondo cui questa

… proclama orgogliosamente la sua incontrastabile superiorità su ogni altro tipo di potere, su ogni forma di dispotismo e autoritariso, dei quali costituisce l’antitesi positiva (p.3).

Altro tema rilevante è quello dell’istruzione o, più complessivamente, della consapevolezza del corpo elettorale dei temi e dei problemi del dibattito politico, aspetto quantomai attuale viste le ultime stime sull’analfabetismo funzionale, stimato in Italia al 47%. Secondo il condivisibile parere dell’autore, uno degli anelli deboli delle liberal-democrazie moderne risiede appunto nella scarsità di intelletto critico del corpo elettorale nel suo complesso (p.59). Significativa in tal senso la lode delle democrazie liberali oligarchiche del XIX secolo che, pur non potendo vantare la rappresentatività garantita dal suffragio universale, erano almeno immuni da questo problema.

Dopo una trattazione di carattere storico che traccia sinteticamente l’evoluzione delle democrazie (anglosassoni ed europee) negli ultimi due secoli, l’autore si sofferma nel descrivere il principale elemento di criticità delle democrazie contemporanee. Si tratta del fatto che buona parte dei centri di decision making non siano più parte dello Stato, ma de facto localizzati presso gli oligopoli economici.

Tale osservazione è tuttavia ripetuta con perentorietà, senza entrare nel dettaglio, talché rischia di rimanere un enunciato teorico piuttosto disincarnato come pure il parallelo, tutto sommato arbitrario, tra le crisi del ’29 e quella del 2008 come diretta conseguenza di tale assioma cripto-plutocratico.

Questo soffermarsi sul ruolo preminente che il capitalismo ha assunto nelle democrazie contemporanee è assieme la forza e la debolezza del saggio. Da un lato, infatti, mette a fuoco uno dei principali elementi distorsivi della democrazia, dall’altra, oltre a non offrire alcuna ipotesi di soluzione al problema, mette in secondo piano gli altri (esuberanza del principio di rappresentatività su quello di competenza; limiti intrinseci del parlamentarismo; involuzione culturale dell’elettorato; imperfezioni dei meccanismi elettorali, etc.).

Fatti questi opportuni caveat, il saggio è senza dubbio meritevole di lettura.

 

Polidori

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