La democrazia dopo il Brexit

Ho atteso un bel po’ prima di parlare di Brexit, per molti motivi. Da un lato, infatti, non abbiamo alcuna pretesa di fare i politologi in una rete già fin troppo invasa da esperti veri o presunti, specialmente quando le dinamiche sembrano ancora essere poco chiare (a chi conviene? Quale parte dell’establishment si è attivata per fare l’ago della bilancia? Cosa cambierà nei rapporti USA-UE in relazione anche al fallito TTIP). Dall’altra il nostro interesse, come sempre, è osservare l’impatto di una decisione del genere sulla democrazia e sulle sue future articolazioni nei paesi occidentali.

Per evitare di essere tedioso o di cadere nell’opinabile, mi limiterò ad alcune (poche) considerazioni di partenza su cui ci sarà ben poco da obiettare:

  1. Il leave ha vinto con un margine molto modesto. Le conseguenze di questa scelta saranno determinanti per (almeno) la prossima generazione. Paradosso: a determinare la vittoria sono stati gli ultrasessantenni, cioè coloro che meno di tutti sperimenteranno le conseguenze della loro opzione antieuropea.
  2. Buona parte di chi ha votato per il remain non lo ha fatto per il merito della questione, ma solo perché qualsiasi autorità terza era comunque preferibile alla signora Elisabetta (Scozia, Galles, Irlanda del Nord).
  3. È pacifico pensare che lo stesso Cameron abbia utilizzato il referendum non perché fosse seriamente interessato all’opinione dei suoi concittadini in materia di integrazione europa, ma piuttosto per una battaglia di supremazia all’interno del suo partito.

 

A margine di questi che potremmo definire “fattori di disturbo” tutt’altro che marginali, c’è una questione più strutturale: è sensato che la popolazione sia chiamata a esprimersi su un tema eccezionalmente complesso e dagli esiti largamente imprevedibili come quello dell’integrazione europea, o piuttosto dovrebbe essere responsabilità della politica?

Le opinioni del post-Brexit in tal senso sono state le più disparate, e possono essere così sommariamente riassunte:

  1. Deve essere la politica ad assumersi la responsabilità di scelte così difficili (Monti)
  2. Il popolo non dovrebbe poter esprimersi su materie complesse (S.Feltri)
  3. Il popolo, quando chiamato ad esprimersi, ha comunque sempre ragione (Canfora)

A queste, si dovrebbe aggiungere una domanda, forse retorica: ha senso interrogare la popolazione anziana su un tema che avrà a che fare al più con figli e nipoti?

Relativamente alla prima questione, non si può che notare come le attuali democrazie europee presentino talora delle fasi di debolezza derivate perlopiù da carenze di leadership. Per restare in Italia, i numeri parlamentari del governo Letta e del governo Renzi erano identici, ma il primo è stato una meteora, il secondo è tra i più longevi della storia italiana. Pur senza esprimere giudizi di tipo politico, è chiaro che un governo con una leadership e/o un consenso deboli possano trovarsi nella loro vita a dover ricorrere a strumenti di legittimazione ab extra come il referendum. Ma questo sembra più un difetto strutturale di alcune architetture democratiche che non un meccanismo virtuoso di coinvolgimento della popolazione nei processi di sovranità.

D’altro canto, non serve la ormai famosa statistica OCSE che ci ricorda quanto larga sia la porzione di popolazione europea che non dispone di strumenti minimi di intelligenza critica. Anche soggetti con istruzione terziaria o PhD avrebbero difficoltà a interpretare tutte le implicazioni di una scelta come quella del Brexit. Perché chiedere un’opinione a un soggetto manifestamente incompetente quando questo ha già espresso la sua delega politica attraverso i normali meccanismi democratici?

Ma anche Canfora ha le sue ragioni. Fermo restando che dovrebbe essere la politica a occuparsi di queste faccende, o almeno un soggetto competente (e quindi per definizione non tutto l’elettorato!) una volta passato il Rubicone bisogna prendere atto della volontà popolare, anche quando si parla di scelte apparentemente autodistruttive. Questa è la linea di Guy Verhofstadt, europeista convinto e per nulla disposto a prendere il Brexit alla leggera, specie nell’ottica di un possibile effetto-domino successivo.

Una cosa è certa: il Brexit ha offerto un potente spunto per ripensare all’istituto democratico nel suo complesso, magari per salvarlo da future trappole come questa.

 

Polidori

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