Pietas erga Lares, ovvero il latinorum della Prima Repubblica.
Un tipico venerdì Romano, tiepido sole di fine estate fuori, curiositas tra le quattro mura del mio studio. Curiosando tra blog e pagine FB dei quattro liberali italiani, mi imbatto in un post di Daniele Capezzone:
Poi non ditemi che non ve l’avevo detto. Ci furono i gloriosi antifascisti in nome della libertà, ma ci furono anche gli antifascisti che volevano solo un’altra dittatura di colore diverso e ancora più sanguinaria. Ecco qua i nipotini, forse perfino inconsapevoli: un atto piccolo, disumano, senza pietas. Non gli va bene neanche una targa in ricordo di una ragazzina violentata e uccisa…
Il contesto è quello di una poco felice dichiarazione di un membro dell’ANP su una delle tante tristi vicende dell’immediato secondo dopoguerra. Capezzone si riallaccia facilmente alla polemica seguita all’approvazione alla Camera della Legge Fiano per ricordare come spesso dietro alla facciata dell’antifascismo si celi solo un altro tipo di fascismo, ma di segno opposto.
Giacché i tiepidi venerdì romani non sono fatti per guardare la luna (troppo facile in questo caso, peraltro), sono stato attratto dal dito: che cavolo c’entra la pietas?
Ogni studente di liceo classico mediamente dotato sa, infatti, che la pietas nella mente latina non ha a che fare con la “pietà”, ma riguarda la devozione religiosa verso gli dèi del pantheon romano e, per estensione, quel sentimento di deferenza verso la tradizione avita, intesa in senso alto e sempre con un connotato religioso.
In questa accezione, il testo di Capezzone fatica ad avere un senso, e dunque è ragionevole ritenere che il nostro volesse significare qualcos’altro. Più che “pietà” – che avrebbe avuto senso, ma avrebbe un po’ rovinato la teatralità della terna – ho buone ragioni per pensare che l’espressione che egli aveva in mente fosse pietas erga Lares, letteralmente “devozione ai Lari” e dunque, mutatis mutandis, rispetto verso gli antenati o, per estensione, la patria.
Ora, l’aspetto che più ha stuzzicato la mia curiosità non è tanto il concetto veicolato o quanto bene esso si attagli alla situazione (probabilmente non molto), né la quota di pubblico in grado di intendere una citazione siffatta (probabilmente nessuno, o quasi), quanto il fatto che tale espressione, in latino, di fatto non esiste.
I romani infatti, erano gente pratica. Quando dicevano pietas i Lari, in quanto numi tutelari, erano già compresi nel mucchio sicché aggiungere “erga lares” sarebbe stato una ridondanza (il concetto simile di pietas erga deos è ricorrente solo nella letteratura secondaria) . Quale pius non è devoto ai Lari? Abbiamo invece attestazioni dei sintagmi pietas erga patriam, erga liberos, erga parentes, etc. proprio perché si tratta di estensioni del concetto originario e che dunque si riteneva necessario esplicitare. Tali espressioni sono frequenti nell’armamentario retorico del contesto politico.
E allora perché proprio erga Lares? La spiegazione più economica è che Capezzone abbia assunto questa espressione da chi forse l’ha coniata, cioè il suo defunto mentore Marco Pannella. Tra tutte le sue attestazioni (non molte quelle restituite dall’oracolo di Google, ma di certo l’espressione era nel lessico usuale di Pannella), la cui più antica che ho potuto reperire è in un articolo del Corriere. Qui il senso è ristretto al rispetto della memoria verso i nostri grandi antenati (Rosmini, Pannunzio, etc.).
Ottenuta la preziosa chiave ermeneutica, siamo finalmente degni di raggiungere il nostro approdo esegetico e capire cosa diamine volesse significare Capezzone dicendo che gli epigoni dei partigiani manchino di pietas: che i membri dell’ANP – o quantomeno chi ha parlato sulla vicenda della targa – manchi di rispetto verso la memoria di un qualche antenato. Se si tratti della memoria degli stessi partigiani, di qualcuno in particolare, o di qualcun altro solo lui può dirlo.
Già è stato complicato seguirlo fin qua.
Polidori
PS – L’interessato non se ne abbia a male. Forma segue tutti i (pochi) liberali italiani con interesse e gli augura un buon lavoro.
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