Democrazia senza verità, verità senza democrazia.

In ogni campagna elettorale si è in qualche modo abituati alla mancanza di verità, alla tendenza del politico a esprimere giudizi basati su premesse false o a formulare promesse che non verranno mantenute. Sembra che questo faccia parte del gioco, tutti lo sanno nella stessa misura in cui tutti lo negano.
Guardando il problema da una prospettiva più alta si potrebbe lecitamente chiedere se la verità costituisca un elemento fondante dell’istituto democratico e se una sua mancanza lo possa in qualche modo trasformare. In altre parole, ci chiediamo se può esistere democrazia senza verità.

Per tentare di dare risposta a questa domanda abbiamo tuttavia bisogno di altre due risposte a domande previe. La prima fu anche di Pilato, quando chiede a Gesù: «Che cos’è la verità»? (Gv 18,38), e la seconda, non meno impegnativa: «che cos’è la democrazia»?

Relativamente alla prima domanda, qui mi limiterò a vedere la verità secondo il senso comune di corrispondenza positiva tra una idea/proposizione e un fatto, senza troppi fronzoli, sicché ci chiederemo se questa idea di verità ha a che fare con la democrazia, e in che modo.

Relativamente alla seconda, intenderemo come democrazia quell’istituto fondato sulla libera capacità di un popolo di autodeterminare il suo governo e che è caratterizzato dai seguenti elementi:

a) Uguaglianza delle condizioni
b) Libertà di espressione
c) Rappresentatività
d) Confronto di idee
Dai quali principi di base scaturisce
e) la sovranità popolare.

Ora proviamo non a falsificare uno di questi elementi (che equivarrebbe a negarlo) ma ad immettervi un vizio di verità sostanziale, tale che la forma sia preservata indenne. Ad esempio, se una porzione della cittadinanza godesse di un qualche privilegio occulto tale da consentirle di eludere la legge e con essa il patto sociale, o se le condizioni necessarie alla piena libertà di espressione non fossero soddisfatte con una equa distribuzione, è facile supporre che la rappresentatività ne sarebbe facilmente affetta, con la tendenza a rappresentare maggiormente la porzione meno soggetta a vincoli. Il confronto di idee, poi, si può falsificare sia nei modi che nei contenuti: nei modi attraverso il meccanismo appena descritto che tende a sbilanciare il confronto verso la parte che “pesa” di più in termini di rappresentatività; nei contenuti se le idee sulle quali ci si confronta sono consapevolmente false, e si utilizza tale falsificazione per orientare le scelte.
Sorvolando su quanto sia facile trovare buona parte di questi problemi nelle democrazie occidentali, limitiamoci a chiederci: esiste un momento in cui la sovranità che scaturisce da un sistema che difetta in verità cessa di essere “popolare” e diventa, piuttosto, la dittatura di una porzione di cittadinanza? Se tale momento esiste (ed io credo che esista), la verità ha in qualche modo a che fare con la democrazia.

Ma si può dire che la verità sia un elemento essenziale (cioè costitutivo) della democrazia? Se così fosse, dovremmo immaginare che un difetto di verità non sia in grado di snaturare altre forme di governo, ma non è così: possiamo ripetere lo stesso esercizio con l’aristocrazia, la monarchia, la teocrazia, e in tutti i casi osserveremo che un difetto di verità negli elementi costitutivi di una forma di governo è in grado di snaturarla, sicché siamo costretti ad affermare una delle seguenti:
a) la verità è un elemento costitutivo di tutte le forme di governo
b) la verità non è un elemento costitutivo di alcuna forma di governo
Sposo la seconda proposizione, e propongo di spostare il problema su un livello più alto, che accomuna tutte le forme di governo: quello di essere una società umana.

La verità, in altri termini, ha a che fare con l’uomo. Il senso di questa relazione sembra fondato sul fatto che l’uomo è l’unico animale in grado di esercitare l’opzione della verità, una interessante declinazione del suo essere λογικός (loghikos), cioè razionale.

Possono sorgere alcune considerazioni marginali su questo. Se è possibile, infatti, affermare che l’opzione della verità sia un carattere distintivo dell’uomo, non è altrettanto facile affermare che l’adesione alla verità (cioè l’esercizio di tale opzione in una precisa direzione) lo sia altrettanto, o che essa rappresenti un bene. Pur condividendo intuitivamente e in linea di massima questa proposizione non sono in grado di dimostrarlo. Un’altra osservazione possibile è che un difetto di verità in un sistema disumano – come una tirannide – non lo rende necessariamente umano: è il caso, ad esempio, di una potente oligarchia che riesca ad esercitare una congrua parte di potere sottraendola ad un inconsapevole tiranno, senza che per questo le condizioni della popolazione mutino affatto.

Cerchiamo di tirare le somme di quanto detto sin qui:

1) la verità ha a che fare con la democrazia, pur non essendone un elemento costitutivo
2) l’opzione della verità è un carattere umano
3) non è chiaro se l’esercizio della verità abbia a che fare con il bene e con il bene comune

Non è difficile riconoscere che l’opzione della verità (2) abbia a che fare con la libertà di espressione, uno dei caratteri dell’istituto democratico, né tale fatto può stupire dal momento che la democrazia è una società umana. In conseguenza di ciò sembra sensato affermare che sia l’opzione che l’esercizio della verità si pongono, rispetto all’istituto democratico, su un livello previo talché possiamo immaginare la verità come il vassoio sul quale poggia il piatto della democrazia.
È possibile spingere oltre questa metafora: se è vero, infatti, che rimuovendo il vassoio il piatto precipita e va in pezzi, un vassoio particolarmente robusto sarà in grado di sopportare una democrazia particolarmente strutturata, mentre un vassoio fragile cederà sotto il peso di una tale democrazia. Quest’ultimo caso sembra attagliarsi perfettamente al sistema italiano, nel quale il livello di complessità raggiunto dall’architettura dello stato sembra non trovare la sua logica controparte in un elevato livello di verità delle sue singole espressioni, con le conseguenze che conosciamo: una politica impermeabile alla società civile, uno stato in cui i gruppi di potere si oppongono a ogni afflato riformatore, meccanismi dinastici che ostacolano l’espressione reale della cittadinanza.

È interessante notare che nessuna delle carte costituzionali delle grandi democrazie occidentali faccia alcuna menzione del concetto di verità neanche a livello dei princìpi generali. Sulla base di quanto detto – e cioè che la verità non è un elemento costitutivo della democrazia – questo è senz’altro corretto. D’altro canto, tuttavia, un buon maestro di tavola deve pensare sia al piatto che al vassoio per evitare che i commensali si ritrovino inaspettatamente senza l’uno né l’altro.

 

 

 

 

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