Per non morire di tasse

Si è da poco concluso il convegno dall’evocativo titolo “Per non morire di tasse”, organizzato a Roma dall’associazione Trentatrepercento (www.trentatrepercento.it) e da Fare per Fermare il Declino. Tema dell’incontro innanzitutto il nodo fiscale: con uno stato al limite del default, è possibile immaginare interventi strutturali che consentano di allineare la pressione fiscale italiana al livello delle altre nazioni UE?

L’evento è inoltre un’occasione per mettere a fuoco la possibilità di convergenze tra vari contenitori di area liberale: oltre agli organizzatori, il Partito Radicale, il Partito Liberale e ConfAPRI. Quest’ultima è forse tra le realtà più interessanti. Nata come conferenza permanente di esperti delle attività produttive – e quindi per sua natura apartitica e apolitica – ConfAPRI  rappresenta oggi circa un milione di PMI. Essa è dunque un interlocutore di prim’ordine per instaurare un dialogo fecondo con tutti coloro che perseguono lo scopo di ridare ruolo, dignità e rappresentatività alle imprese.

Gli oratori che si succedono osservano la realtà : Il 30% di capacità produttiva e industriale è già perso, con la conseguente contrazione di PIL, occupazione e reddito per i cittadini. Per recuperare questa situazione possono essere necessari decenni. Lo stato italiano sta distruggendo, in poche parole, il futuro delle prossime generazioni. Nel frattempo ogni afflato di iniziativa e professionalità viene, giorno dopo giorno, mortificato da un potere nepotista che soffoca la competenza e il talento, e i nostri giovani migliori sono costretti a espatriare per avere occasione di emergere e costruire un futuro.

Quale via d’uscita? Non è facile trovare la quadratura del cerchio. Se tutti i partecipanti concordano sulla necessità del taglio della spesa improduttiva, alcuni (Baccini) auspicherebbero iniezioni di liquidità nel sistema, mentre altri (Boldrin) insistono piuttosto sull’alleggerimento del peso dello stato. A margine delle varie proposte (nessuna delle quali, in verità, particolarmente originale) emergono almeno quattro consederazioni critiche:

1. Se il Partito Liberale appare propenso a confluire in un nuovo e più ampio progetto sotto la regia di Fermare il Declino, altrettanto non si può dire (per ovvie ragioni storiche) per il Partito Radicale. Il risultato non sarebbe dunque in grado di incidere nella realtà politica senza altri interlocutori di un certo peso.

2. Trentatrepercento è apparsa più un’ennesima declinazione dell’UdC che un vero movimento di carattere riformista. Il comportamento di Baccini, che dopo il suo intervento lascia la sala seguito dal suo “codazzo”, non lascia molto spazio alle interpretazioni.

3. Colomban ha mostrato un approccio pragmatico e credibile, ma uno stato non è un’azienda. Lo stato oltre alla sindacalizzazione irresponsabile ormai tipica dell’Italia, deve fronteggiare la “casta” dell’alta burocrazia, la legislazione concorrente delle Regioni, i continui ricorsi al TAR e alla Corte Costituzionale. Non basta, dunque, un buon business plan.

4. Come sottolineato dallo stesso Colomban, sebbene Fare disponga di un programma largamente condivisibile, Boldrin non sembra sufficientemente efficace sul piano comunicativo, aspetto diventato primario e di certo non trascurabile nella politica dell’ultimo ventennio.

Il convegno ci lascia in qualche modo sospesi: mentre la destra di Fratelli d’Italia strizza l’occhio a Giannino e Magdi Allam e cresce nei sondaggi, un vero progetto riformista stenta a decollare. La componente cristiano-sociale, infatti, sembra essere ancora troppo frammentata e ancora geneticamente “moderata” per poter aderire convintamente al movimento liberale immaginato da Boldrin. Sarà, piuttosto, la capacità di realtà come ConfAPRI di coinvolgere altri attori (il M5S?) un possibile motore di futuri sviluppi.

Di sicuro non c’è più tempo per gli esercizi di stile.

 

Valerio Polidori
Emanuela Riccardi
 

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