Democrazia diretta, frittata metafisica.

Come ormai sapranno anche i pixel dei nostri monitor, uno dei tratti distintivi del M5S è l’anelito a introdurre nel meccanismo legislativo il principio della democrazia diretta veicolata, evidentemente, dal grande semidio di cui ogni affiliato grillino magnifica i caratteri quasi taumaturgici, la Rete.

Chi pensa che democrazia diretta voglia dire, in sostanza, fare a meno di quell’anello di congiunzione tra la popolazione e il procedimento legislativo attualmente rappresentato dai parlamentari, potrebbe sbagliarsi. Per quanto ci è stato dato vedere sinora, infatti, tutte le decisioni del M5S frutto di questa ipotetica “democrazia partecipata” si sono concretate a valle di una singolare tripartizione di ruoli. Se, infatti, gli iscritti al Movimento hanno vivacemente discusso sul Blog, sembra che le risoluzioni finali siano state in sostanza piuttosto centralizzate nella strana diarchìa Grillo-Casaleggio («quello col nome da formaggio», disse Ferrara), mentre il resto della popolazione italiana era totalmente esclusa dal processo.

Se dovessimo trasporre questo modello su scala nazionale, il quadro che ne risulterebbe non sarebbe forse né democratico né diretto, dal momento che 3/4 degli elettori più tutti gli astenuti (un altro 25% degli elettori potenziali) non avrebbero alcun ruolo e gli altri sarebbero comunque sotto il vaglio censorio dei consoli suddetti.

Sebbene lo scenario non sembri esattamente idilliaco, credo tuttavia che il problema possa essere ancora più a monte e che riguardi proprio l’idea di democrazia diretta. Propongo una storiella che ci porti al cuore della questione:

Supponiamo che su un’isola deserta approdino tre naufraghi e che essi costituiscano un nucleo, ancorché piuttosto elementare, di una società democratica. Ognuno dei tre crea un meccanismo di sussistenza che garantisce un pollo al giorno. Un bel giorno il sistema di uno dei tre si inceppa (ad esempio, per una grave malattia di uno dei tre) e i naufraghi si ritrovano con due polli e tre bocche da sfamare. A questo punto, sebbene un intuitivo criterio di solidarietà umana suggerisca che ognuno possa rinunciare a un terzo di pollo e che conseguentemente i tre naufraghi possano sfamarsi con due terzi di pollo, nulla impedisce, in un sistema democratico diretto, che i due si accordino per non rinunciare al terzo di pollo e lascino il terzo naufrago al suo triste destino. Tale decisione è perfettamente legittima sia dal punto di vista formale che nella sua sostanza democratica, ma rende evidente uno dei principali problemi del sistema: l’esclusione, tra i principi ispiratori del meccanismo decisionale, di ciò che si suole chiamare “bene comune”.

Mi rendo conto che con questa affermazione sto operando almeno due semplificazioni: la prima è che a rigore la democrazia diretta non esclude il bene comune, ma semplicemente esso non gioca nessun ruolo nel meccanismo decisionale ed è di fatto relegato, nella migliore delle ipotesi, al paradigma etico di chi partecipa alla decisione. La seconda è che non ho definito che cos’è il bene comune, ma si può lecitamente supporre che esso contempli la sopravvivenza del terzo naufrago.

Quando la metafora dei due polli viene calata nella realtà, si aggiunge un ulteriore elemento di complessità: di fronte a un problema analogo, la cittadinanza che vota – immaginiamo – tramite il Web, potrebbe essere sufficientemente illuminata da non anelare all’estinzione del potenziale “terzo naufrago”, ma potrebbe altresì non disporre dei necessari strumenti cognitivi per evitarla. In effetti trovo che questo costituisca un problema ben maggiore: ogni progetto di legge, anche il più semplice, ha un livello di complessità che difficilmente è alla portata del cittadino medio, sia per gli aspetti tecnici o procedurali, che per quelli legati al contesto. Per non essere esoterici prendiamo l’ultima legge approvata dalla Camera, peraltro su una questione assai cara ai grillini come quella della gestione dei rifiuti.

A QUESTO LINK si può scaricare il testo del disegno di legge il quale inizia poeticamente così:

al comma 1, secondo periodo, le parole: « dell’articolo 19, comma 1, lettera f), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 » sono sostituite dalle seguenti: « dell’articolo 14, comma 27, lettera f), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni »;

dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. All’articolo 10, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, le parole: “Fino al 13 febbraio 2011 e, per le apparecchiature rientranti nella categoria 1 dell’allegato 1A, fino al 13 febbraio 2013” sono soppresse ».  …

e giù così per una decina di pagine.

 

Personalmente, pur avendo dedicato 18 anni di vita agli studi universitari, terminando con tre lauree e un dottorato (non in materie giuridiche) impiegherei parecchio tempo non solo per entrare nella forma mentis del testo ma anche banalmente per raccapezzarmi attraverso tutti i rimandi. Non dubito che molti grillini possano essere più smart del sottoscritto, ma nutro seri dubbi che l’intera cittadinanza (cioè il soggetto di una ipotetica democrazia diretta) lo sia, senza contare che di norma le persone devono occupare il tempo lavorando se vogliono mangiare, e non nell’esegesi dei progetti di legge.

Ciò che emerge da questo esercizio di democrazia diretta tra l’isola dei due polli e il parlamento virtuale costituito dall’Italia tutta è che tale ideale politico, che all’apparenza può sembrare al tempo stesso nobile e moderno, presenta alcuni effetti collaterali di una certa gravità. Il primo è che esso teorizza che in fondo la competenza non serve. Se la casalinga può votare il nostro disegno di legge con la stessa facilità con la quale girerebbe una frittata (donde il titolo del pezzo) a cosa serve essere dotati di una competenza per poter esercitare la funzione legislativa? Il secondo è che tali competenze non servono perché la realtà è semplice. «Lo capisce anche un bambino» è, infatti, un frequente intercalare di Grillo, chiunque abbia ascoltato un suo comizio (bontà sua, io non riesco ad andare oltre i 6-7 minuti) lo sa.

Questo appiattimento della complessità è tale nella propaganda grillina che il semidio-Rete pullula di fanatici del tutto convinti che abolendo il finanziamento pubblico ai partiti e riducendo il numero di parlamentari, i problemi economico-finanziari dell’Italia si vaporizzeranno per uno strano fenomeno di sublimazione. Non solo, con questi denari risparmiati si potrà anche dare un “reddito di cittadinanza” e, magari, pagare vacanze premio al Paese dei Balocchi.

Più ancora degli aspetti autenticamente autoritari del M5S quello che mi spaventa in effetti è questo, la sistematica distorsione della realtà amplificata da un effetto-setta che sfugge a ogni razionale. La democrazia diretta sembra, in altre parole, ben peggiore di una qualsiasi cattiva idea. Essa, viceversa, incarna una sorta di dittatura metafisica per cui ogni sfumatura del reale, ciò che in effetti lo rende complesso, viene inghiottita in un maelström da cui emerge ridotta ad una inquietante monocromia.

Mutatis mutandis, Orwell ritrova la sua attualità.

 

 

 

 

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