Emma Bonino e la democrazia su misura

Sono diversi anni che ho la sensazione che la signora Bonino sia tra i politici più sopravvalutati dell’ecumene, e ieri ne ho avuto un’altra conferma. Nella lunga intervista pubblicata dal Corriere nella quale si auspicava un’accelerazione del processo di unione politica europea, la Bonino denunciava una sorta di “spread democratico” nel momento che segue l’ ingresso di nuovi membri nell’Unione:

«…sulla parte democratica ci sono criteri forti per l’ingresso, ma una volta dentro un Paese può cambiare la Costituzione eliminando la divisione dei poteri senza che accada nulla come è il caso di Budapest».

Vista sotto il profilo formale, questa frase suggerisce l’idea, peraltro largamente diffusa, che la divisione dei poteri abbia in qualche modo a che fare con la democrazia, il che tuttavia è storicamente, filologicamente e logicamente falso.

Com’è noto, il principio della separazione dei poteri è piuttosto antico: già Platone nelle Leggi (691d-694a) parla degli efori come di un sistema per «ricondurre il potere monarchico (di Sparta) ad una più giusta dimensione» e si sofferma sulla necessità che monarchia e democrazia (le forme di governo dei persiani e degli ateniesi) non assumano tratti radicali, ma piuttosto che mutuino elementi l’una dall’altra per mantenere un profilo di giustizia. La medesima idea è ripresa e sviluppata nella Politica di Aristotele (1266a; 1293b-1294b), con un più chiaro riferimento alla necessità di separare il potere giudiziario da quello legislativo. In uno dei suoi passaggi più noti, infine, Polibio (Storie VI,11-14) magnifica la struttura dello stato romano perché in esso non solo i poteri sono separati, ma sono rappresentate le tre forme di governo (l’oligarchia nel senato; la democrazia nei tribuni, e la monarchia nel consolato) in una sintesi perfetta.

Ma la teoria della separazione dei poteri giunge a maturazione in età moderna soprattutto con Locke e Montesquieu. Quest’ultimo, nello Spirito delle leggi si occupa della costituzione inglese (monarchica!) dicendo, tra l’altro:

«Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, poiché si può temere che lo stesso monarca, o lo stesso senato, facciano leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente. Non vi è nemmeno libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e dall’esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo , il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.»

«Nelle repubbliche italiane, dove questi tre poteri sono riuniti, la libertà è minore che nelle nostre monarchie […] Il potere è uno solo; e benché non vi sia nessuna pompa esteriore che riveli un principe dispotico, lo si avverte in ogni istante»

(Spirito delle leggi,  XI, 6 Ed.Rizzoli, 1967)

Leggendo queste parole e guardando retrospettivamente alla genesi del principio della separazione dei poteri, si potrà agevolmente concludere che da Platone in poi tale principio ha sempre e solo il carattere di meccanismo di garanzia, una sorta di “paracadute” affinché un istituto politico non si radicalizzi e conseguentemente snaturi: come l’eforato a Sparta o i tribuni a Roma avevano la funzione di non far degenerare la monarchia (o il consolato) in tirannide, così in Montesquieu la separazione dei poteri non ha affatto a che fare con la democrazia ma, piuttosto, con la libertà, intesa peraltro come tutela che un istituto (ad es. quello giuridico) non travalichi le sue finalità a danno delle libertà individuali. Dunque il principio non assume neppure strictu sensu i caratteri della libertà, quanto quelli più pragmatici ed estrinseci di meccanismo di garanzia delle libertà.

Stanti queste premesse, l’errore della Bonino è evidente e consiste nell’aver confuso un meccanismo di garanzia (come sono, appunto, i checks & balances o l’accountability) con un carattere intrinseco dell’istituto democratico.  Non stupisce, allora, se uno statista di pari fede europeista abbia recentemente affermato una visione diametralmente  opposta, quando scriveva in una delle sue ultime pubblicazioni che il fatto che un governo possa avere anche l’iniziativa legislativa «obbedisce a una logica sensata» (M.Monti, La democrazia in Europa, Rizzoli, 2012, p.55).

Questa vicenda, apparentemente marginale, è in realtà un segnale di come il concetto di democrazia stia allargando il suo campo semantico invadendo quelli limitrofi di libertà o uguaglianza. Ma se la libertà è un elemento costitutivo della democrazia, essa non è democrazia tout-court, come vorrebbe la sineddoche della Bonino. Paradossalmente, confondere i due piani può facilmente diventare un’operazione pericolosa: secondo la vulgata della Bonino, infatti, si potrebbe accusare il prof. Monti di essere un teorico anti-democratico, trasformando così la confusione linguistica in un’arma politica. Ma ancora prima della separazione dei poteri  – che in fondo è solo una delle possibili forme di esercizio di garanzia democratica – viene il principio di verità e con questo la signora Bonino scherza troppo frequentemente.

 

 

 

 

 

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