“Fareinmovimento” : un’analisi filologica

Il 2 ottobre è stato presentato un documento – a firma Enrico/Marzial/Rosa – che rilegge in chiave critica, nel senso etimologico del termine, la linea politica assunta nelle ultime settimane dalla Direzione Nazionale di Fermare il Declino.

Il testo, che rappresenta una posizione di minoranza, è stato da subito oggetto di attacchi non solo da parte delle componenti più istituzionali – come in qualche misura era prevedibile – ma anche da parte di singoli gruppi o comitati. L’accusa che più frequentemente si sente è quella secondo cui il documento non sarebbe propositivo, limitandosi ad una critica neppure troppo circostanziata della linea assunta dalla maggioranza.

Seppure prima facie il testo possa suggerire tale sensazione, una lettura più attenta in realtà dimostra che non solo tale accusa è infondata, ma che è vero il contrario: si tratta di un vero e proprio manifesto di intenti che evidentemente non hanno trovato cittadinanza nell’attuale Direzione Nazionale. Una breve analisi filologica del testo gioverà a scorgere, tra le sue pieghe, i punti salienti del messaggio.

L’espediente comunicativo utilizzato dagli estensori del testo è quello dell’affermazione per via di doppia negazione. Eccone un chiaro esempio verso l’inizio:

«I partner sono troppo piccoli e pieni di dubbi, in alcuni casi rappresentano visioni della politica e dell’economia distanti da quelle di Fare. Quelli più importanti e a noi affini non partecipano […]
è escluso il superamento dello sbarramento nazionale del 4% con FARE+PLI+PRI+piccoli movimenti»

Qui si sta affermando, in via di premessa, che:

  • stante la fluidità della situazione attuale, il primo obiettivo politico certo sono le elezioni europee, per il quale serve un consenso elettorale superiore al 4%
  • per raggiungere tale soglia occorre aggregare altre forze
  • che tali forze debbono essere affini a FARE

L’unica conseguenza possibile è che l’alternativa proposta sia un tentativo di partnership con una forza più consistente e affine che, stando al sensus auctoris, non esiterei a individuare in Scelta Civica.

Si giunge agevolmente a tale conclusione in due passaggi: dapprima si legge, infatti che

«non si prefigura un’alternativa all’idea di fusione, non c’è un piano B, un progetto sostitutivo»,

sicché è ovvio che gli autori propongono una fusione ovvero, in alternativa, un’alleanza. Poco più avanti, infine, si può escludere che il partner immaginato sia il M5S quando si evoca una «dimensione occidentale ed europea» del messaggio politico: il M5S, come sappiamo, è fieramente anti-europeista. D’altro canto, invece, sappiamo che tra i firmatari dei “10 punti” figurano personaggi di Italia Futura, poi confluiti nel contenitore montiano, il che corrobora l’interpretazione proposta.

Stabilita agevolmente la proposta politica alternativa, il documento è propositivo anche nei modi in cui essa si debba realizzare:

«Dobbiamo superare l’improvvisazione, i toni sbagliati con gli interlocutori politici, dileggiati e allo stesso tempo ricercati come partner per una possibile fusione.»

Il riferimento alle dure critiche nei confronti della politica del governo Monti espressa virulentemente in diverse occasioni dalla presidenza e da autorevoli membri della DN è di palmare evidenza. Per costruire una partnership con Scelta Civica cavalcare la retorica anti-montiana può non essere un’idea brillante. Viceversa il documento riflette sull’esigenza di accelerare un dialogo serio (id est: non retorico), costruttivo e inclusivo di tutte le “correnti” che le regole congressuali hanno determinato, e che sia focalizzato sul principale interlocutore in ottica europea: Mario Monti.

Si tratta, in conclusione, di un testo semanticamente raffinato, che dice molto a chi abbia voglia di guardare al di sotto dell’epifenomeno linguistico. Al di là della soluzione proposta – che non si può valutare in questa sede – certamente non è possibile affermare che il documento non sia propositivo.

 

Valerio Polidori

 

 

 

 

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