L’Italia dei 10 saggi

Seduto nell’attesa dell’aereo che mi porterà in due delle più grandi biblioteche monastiche del mondo, nell’inacessibile Monte Athos, non posso fare a meno di riflettere sul mondo che – seppur temporaneamente – mi lascio alle spalle. Ciò che non riuscì in molti mesi nel 1997 a D’Alema dovrebbe riuscire oggi in dieci giorni. Impossibile? No, per diverse ragioni.

Intanto questa sorta di commissione di “saggi”, raccoglierà di certo buona parte dei frutti della terza bicamerale, come garantisce la presenza di Luciano Violante, uno degli attori di quell’esperienza. Inoltre la commissione, che formalmente non gode di alcun potere, è comunque sostanzialmente politica (quasi tutti i membri sono riconducibili a un partito), sicché è ovvio che sia stata formata perché è più facile mettere d’accordo dieci persone di buon senso che poco meno di mille parlamentari sotto la pressione dei rispettivi segretari. Se poi sulle proposte dei “saggi” pioveranno addosso ancora quei 40 mila emendamenti che “uccisero” (così Mussi) la bicamerale del ’97, allora i partiti non avranno più alcuna ragione di protestare per un eventuale successo completo di Grillo: chi, per difesa a oltranza delle proprie posizioni di (vero o presunto) privilegio nel gioco delle regole istituzionali si oppone a ogni tentativo di riforma che renda questa nazione non dico normale, ma almeno governabile, non ha più il diritto di esistere.

C’è un’altra singolare coincidenza nella irrituale scelta di Napolitano: anche FORMA ha dieci membri che partecipano alla scrittura dei documenti finali. Al di là dei richiami pitagorici, se il presidente ritiene che in dieci giorni altrettanti “saggi” possano affrontare altrettanti problemi (così il CdS di oggi: legge elettorale, taglio delle province, taglio dei parlamentari, assetto istituzionali, costi della politica, lavoro, crescita, debiti della PA, riforma del welfare, austerity), vuol dire che a maggior ragione FORMA può riflettere per mesi sulla forma dello stato senza peccare di presunzione.

Divagazioni nostrane a parte, ciò che trovo davvero sconvolgente è che anche una persona proveniente dalla sinistra italiana, quella che per anni si è nutrita di “centralità del Parlamento” e della “Costituzione più bella del mondo”, alla fine ceda il passo alla possibilità neanche troppo virtuale che una sorta di aristocrazia (tecnocratica?) possa fare prima e meglio. Un segnale chiaro cui ha corrisposto l’immediato sdegno dei parlamentari.

Con queste premesse, come diceva Chiambretti, comunque vada sarà un successo.

Vado, l’aereo parte.

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