Mater semper certa…?

Mater semper certa, o forse no. Il caso dei due gemelli impiantati per errore nell’utero della donna sbagliata e recentemente affidati — con giudizio di primo grado — alla partoriente, suscita molti interrogativi di carattere politico, giuridico e filosofico. Cerchiamo di applicare il metodo di Forma per fare ordine in una storia la cui complessità è superata solo dalla tragedia umana che l’accompagna.

Partiamo dall’aspetto politico. Il problema era noto da tempo: possibile che si giunga ad una decisione solo dopo la nascita dei gemelli laddove nelle motivazioni delle sentenza il punto più forte è il legame che durante la gravidanza e al momento della nascita si instaura tra la madre biologica e il figlio? E ancora, possibile che a fare giurisprudenza sia la decisione di un singolo giudice presa sulla base di una norma inesistente?

Facciamo un passo indietro: il Codice Civile, all’art.269, comma 3 recita infatti:

La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. 

La norma, l’unica alla quale sembra potersi fare appello, è figlia di un’epoca in cui la madre genetica e quella biologica coincidevano. In una società, tuttavia, in cui la madre genetica (che apporta il 50% del codice genetico), quella biologica (che fisicamente conduce la gravidanza) e quella “sociale” (colei che si prende cura della prole non necessariamente essendo anche madre biologica o genetica) non necessariamente coincidono, la legge diventa obsoleta, generando un vuoto normativo. Non è infatti più possibile rispondere in maniera univoca alla domanda: chi è la madre?

Di fronte a una questione del genere, una nazione civile risponde per via parlamentare, di norma facendo ampio ricorso a commissioni tecniche e concedendo ai parlamentari il “voto di coscienza”. Ma in Italia non è la prima volta che la magistratura si sostituisce alla politica, spesso con risultati disastrosi. Con quale competenza una sola persona si assume l’onere di una decisione di questa gravità? Davvero in tanti mesi non si poteva fare di meglio?

Ma passiamo alle questioni di sostanza e al metodo di Forma. Per chi non lo ricordasse, abbiamo le nostre tre carte da giocare (in pillole):

1) Principio di verità: l’uomo è l’unico essere vivente in grado di esercitare l’opzione di verità

2) Astrazione: l’uomo è l’unico essere vivente in grado di “mettersi a distanza” dall’oggetto della sua speculazione

3) Affinità: l’uomo è l’unico essere vivente in grado di sperimentare un’autentica immedesimazione orizzontale e verticale con altri membri della sua specie.

Diciamo subito che il terzo principio è qui inconcludente: entrambe le coppie hanno un legittimo anelito alla procreazione, nessuna delle due può vantare un diritto maggiore dell’altra, sicché non si può che solidarizzare con entrambe.

Qualcosa in più si ottiene dall’opzione di verità. Innanzitutto si dovrà notare che l’impianto dell’embrione in quel grembo è il frutto di un errore. In qualsiasi caso di errore sanitario commesso in una struttura pubblica, si cerca comunque di riparare all’errore e, in un secondo tempo, si riconosce un risarcimento a chi avesse eventualmente subito un danno. In questo caso, sorprendentemente, la correzione dell’errore coincide con il suo suggello. Come a dire: “Ci siamo sbagliati, abbiamo dato vostro figlio a Pinco Pallino, ci spiace, arrivederci”.

L’argomento più forte contro questa singolare sentenza, tuttavia, riguarda non solo il principio di verità, ma anche l’astrazione. Infatti le motivazioni della sentenza fanno appello a ciò che la Scienza perlopiù ritiene acquisito circa tra il legame che si crea tra partoriente e nascituro durante la gravidanza. Si tratta, tuttavia, di dati non misurabili che attengono in buona sostanza alla categoria dell’interpretazione. Che, viceversa, il patrimonio genetico (ciò che dice con cristallina precisione chi siamo) dei nascituri sia interamente dell’altra coppia è un fatto. Anteporre un’interpretazione a un fatto rappresenta come minimo un incomprensibile arbitrio.

Non è finita. Fino ad ora si è parlato della madre, ma cosa dire del padre? Che il legame che si instaura durante la gravidanza tra il nascituro e il compagno della madre biologica sia superiore a quello scritto nella metà del genoma del padre genetico è un’affermazione che grida vendetta sotto ogni profilo. Il diritto del padre genetico in questo caso non conta nulla?

Infine, ciò che forse dovrebbe andare in cima alla lista: il diritto dei gemelli. Essi sono sottratti ai loro veri genitori, persone che hanno compiuto ogni sforzo nel desiderio di darli alla luce e costituire una famiglia. Non somiglieranno a nessuno dei loro parenti adottivi, nessuno di questi ultimi si riconoscerà nei comportamenti dei gemellini. Ma il giudice non sembra considerare il diritto dell’ultimo (il primo?) anello della catena. Restituire i nuovi nati ai veri genitori, indennizzando significativamente l’altra coppia non sarebbe stata la soluzione più solida sotto il profilo etico?

A margine di queste considerazioni, un’ultima nota. La motivazione del giudice si basa sulla constatazione dello sfilacciamento della famiglia e della frammentazione dello stesso concetto di “madre” nelle attuali società occidentali. Di fronte a questa presa di posizione, e a questa vicenda in generale, ci si sarebbe attesi un qualche pronunciamento da parte della Conferenza Episcopale Italiana, invece sulla stampa vaticana c’è un silenzio sospetto. Che nell’epoca in cui ciò che conta è una efficace comunicazione (e piacere a tutti) a non voler perdere clienti non sia solo il Premier?

 

Polidori

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