Rinascimento Italiano: la balla continua

Qualche settimana fa ho deciso di pubblicare un articolo in cui raccontavo la deludente esperienza di Rinascimento Italiano, progetto di cui avevamo seguito con interesse ed entusiasmo la nascita e la prima convention.

Dopo il primo flop a gennaio per l’incapacità di reperire gli autenticatori necessari alla raccolta delle firme e un secondo colpo con il recente exploit grillino del presidente Artom, e a valle delle molte critiche per l’assenza (a 6 mesi dalla nascita!) di un programma condiviso o almeno di un buon manifesto che chiarisse l’identità del progetto (critiche che io stesso mossi da subito), finalmente è stato depositato almeno uno Statuto.

Il primo aspetto che incuriosisce è la motivazione per cui Rinascimento si sia costituito – e definito – come associazione e non propriamente come partito politico. Questo è uno dei rari casi in cui la risposta ufficiale coincide con la realtà: perché R.I. non è un partito (§3 comma 5). Infatti la giurisprudenza che ruota intorno all’art. 49 della Costituzione impone – almeno in linea teorica – che la gestione dei partiti politici sia completamente democratica. Ogni partito, ad esempio, dovrebbe eleggere democraticamente la sua dirigenza attraverso un’assemblea generale dei tesserati.

Vediamo invece cosa succede in Rinascimento Italiano.

Qui siamo di fronte a un singolare gioco di rinvii. Il Presidente è eletto dal Consiglio Direttivo tra i suoi membri (§8). Il Consiglio Direttivo, a sua volta, è formato da 9 membri di cui 6 nominati dal Comitato dei Promotori (§12). L’assemblea generale dei soci, cioè l’unico organismo rappresentativo, elegge dunque solo 3 dei membri del Consiglio Direttivo. Il Comitato dei Promotori, d’altra parte, non è un organismo eletto, ma ne fanno parte tutti i Soci Promotori, cioè i fondatori del movimento (§5), nella sostanza coloro che hanno investito denari propri nella costituzione del progetto.

Dunque i fondatori di Rinascimento avranno sempre e comunque un’ampia maggioranza nel Consiglio Direttivo (di 6 membri su 9) e sceglieranno tra loro  –facile indovinare se prenderanno da loro stessi oppure dai tre espressi dalla base – il Presidente. E così per i secoli dei secoli, con buona pace dell’art.49 e della democrazia.

Trovo del tutto peculiare che lo Statuto prima (§3) parli di merito, competenza, uguaglianza di opportunità, rinnovamento della classe politica, “diffusione della meritocrazia come lo strumento che permetta alle persone di conquistare un futuro migliore in una società giusta”, e poi attribuisca le cariche direttive secondo logiche che ricordano più il Kommunističeskaja Partija Sovetskogo Sojuza che una libera associazione democratica.

Ma così è, se vi pare. La balla di un movimento meritocratico che in realtà protegge la sua nomenklatura ben più dei partiti tradizionali non è più un mio problema. Ma gli affiliati, prima di sborsare i 25 euro di quota associativa (con la quale non avranno nessun peso in capitolo), hanno almeno letto lo Statuto?

 

 

 

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