Verità e voto

Un interessante spunto di riflessione nella “laboriosa pausa estiva” di Forma, è stato rappresentato dalle discussioni sulla relazione tra il concetto di democrazia e quello di verità, e se il secondo possa essere ritenuto un elemento essenziale o addirittura esclusivo della prima rispetto ad altre forme di governo.

Accontentandoci di definire la verità secondo il senso comune di corrispondenza positiva tra una idea/proposizione e un fatto, ci è interrogati sull’influenza che la “quantità di verità” implicata all’interno di una azione umana ha sugli esiti dell’azione stessa. In altre parole, quanto la definizione di un processo che porta a decisioni rilevanti, quale ad esempio quello del voto, debba tenere conto dell’impossibilità dei suoi attori di agire, fatta salva la buona fede, secondo criteri di verità.

Infatti, pur nella piena libertà di esercizio della nostra opzione di verità (ovvero dell’arbitrio proprio dell’uomo se aderire o meno a ciò che si ritiene vero e in quanto tale giusto), dobbiamo essere consapevoli che il nostro agire politico, derivante dalle opinioni che siamo stati in grado di maturare, è necessariamente limitato da un “deficit strutturale di verità”.

Questa differenza può essere analizzata su tre livelli successivi (tralasciando un primo passaggio implicito dai dati grezzi alle informazioni):

  • Informativo, attinente alla quantità di materiale disponibile;
  • Cognitivo, relativo agli strumenti con cui classifichiamo e interpretiamo i suddetti materiali e perveniamo alla formazione di una conoscenza strutturata su un dato argomento;
  • Decisionale, in cui, anche sulla base di elementi non necessariamente razionali o strutturati (e.g. simpatia, gut feeling, condizionamento dell’ambiente in cui viviamo etc.), esercitiamo la nostra scelta.

Il primo livello è abbastanza autoesplicativo: una raccolta esauriente di elementi utili a formarsi una opinione rappresenta una sfida improba anche per quelli di noi che dispongono di più tempo e hanno più accesso ai mezzi di informazione.

Il secondo livello è invece minato dalla limitatezza degli strumenti intellettuali di cui disponiamo per dare un senso alla realtà analizzando le informazioni raccolte. Da questo punto di vista, la situazione si è ulteriormente aggravata con caduta delle grandi ideologie del secolo Ventesimo la quale, pur svincolandoci dall’utilizzo di categorie ormai superate, ha eliminato la dimensione dialogica di riferimento sulla quale eravamo abituati a confrontarci.

Il principale difetto dell’ultimo passaggio è infine legato dal prevalere, secondo una logica di “prossimità ontologica” dell’esperienza personale rispetto alla ulteriorità dell’analisi di informazioni provenienti da fonti terze.

Pertanto, pur mantenendo libertà nella formulazione delle nostre opinioni, dobbiamo essere consapevoli che il grado di verità implicato nelle scelte che compiamo rappresenta comunque un livello sub-ottimale. La riduzione di questo “deficit di verità” all’interno dei processi politici attraverso l’utilizzo di strumenti logici costituisce, lo vedremo in seguito, uno degli obiettivi essenziali nella definizione di un nuovo impianto democratico di Stato.

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