Ma quale democrazia

Qual è lo stato di salute della democrazia in Italia? In quale misura possiamo affermare oggi che “la sovranità appartiene al popolo” e che le istituzioni riflettono la composizione politica della cittadinanza?

La domanda non è oziosa, purtroppo. Proprio mentre scrivo, la Regione Calabria, immediatamente prima del suo scioglimento per motivi non esattamente lusinghieri, ha deliberato l’esclusione dalle prossime elezioni autunnali delle liste che non raggiugessero almeno il 15% su scala regionale o il 4% in una coalizione che comunque abbia superato il 15%, misura manifestamente creata ad arte per escludere il M5S.

Ad un livello più alto, si discute una legge elettorale che si basa di nuovo sul premio di maggioranza, lo stesso che la Consulta ha bocciato per palese incostituzionalità. Si ragioni ora sui numeri: nelle ultime elezioni politiche l’astensione è stata pari al 25%. Ipotizziamo che vada in porto una L.E. con soglia di 37-38% per accedere al premio di maggioranza. Vorrebbe dire che la possibilità di decidere godendo della maggioranza assoluta verrebbe affidata al partito o alla coalizione che godesse di poco più del 28% reale delle preferenze degli elettori.

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Non è difficile osservare come tale artificiale procedura assomigli più ad una dittatura di una minoranza che ad un sistema democratico. Questa inaccettabile stortura viene giustificata dall’esigenza della governabilità o, più prosaicamente, dalla constatazione che negli ultimi decenni praticamente nessuno è stato in grado di governare se non godendo di larghe maggioranze e comunque procedendo a suon di decreti  blindati dalla fiducia (leggasi: esautorando il Parlamento dalle sue mansioni). Invece di correggere il problema a monte, insomma, si preferisce consolidarne i suoi effetti deleteri. Come ci si può presentare come paladini del cambiamento e passare mesi a riflettere su modelli istituzionali vetusti, inefficienti e per giunta di dubbia costituzionalità?

In ottica di sempre maggiore integrazione europea, con le relative ampie cessioni di sovranità, non sarebbe più sensato pensare a qualcosa di completamente diverso? Un sistema di governo agile, con un meccanismo di pesi e contrappesi assicurato da una parte dall’alterità europea dall’altra da una divisione degli attori nei processi (e non nei poteri) è la proposta di Forma. Un’innovazione radicale, una rivoluzione del modo di vedere lo Stato per realizzare la democrazia senza sacrificare l’efficacia e l’efficienza dei suoi processi.

 

Polidori

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