La lista della spesa

Il recente libro di Cottarelli (La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare. Feltrinelli, 2015) , commissario alla Spending Review per un anno esatto tra la fine del governo Letta e l’inizio di quello Renzi, è una lettura interessante. Scritto forse un po’ di fretta, ha uno stile spontaneo: pochi correttori di bozze (è pieno di refusi), lo stile discorsivo fin quasi alla sciatteria espressiva, ma è proprio questa spontaneità a renderlo gradevole from cover to cover.

I dati sono presentati in maniera semplificata ma corretti nella sostanza. Molti luoghi comuni (sulle auto blu, o sui troppi dipendenti pubblici) sono agevolmente sfatati dall’aritmetica del nostro, molte altri temi che avevano goduto di minore risonanza mediatica (ad es. tanti numeri sulla RAI) sono portati alla luce. Non sperate di trovare nomi e cognomi: la filosofia è che si dice il peccato ma non il peccatore, sebbene una ricerca più approfondita possa restituire ciò che Cottarelli omette.

Dal racconto dell’ex commissario, a mio parere emergono almeno quattro interessanti spunti di riflessione:

1. In Italia il personale della P.A. (in tutte le sue diramazioni) è impossibile da rimuovere. Come si può pensare di dare premialità e meritocrazia quando sussiste questo abisso incolmabile tra il personale della P.A. e quello dell’impiego privato? Come si può pensare di responsabilizzare i dirigenti se non gli si danno adeguati strumenti per gestire il personale, premiando chi lavora e censurando chi non lavora? Quanta responsabilità hanno le cd. “parti sociali” nella costruzione di questo mondo chiuso a riccio su se stesso, volto principalmente alla sua auto-perpetuazione?

2. Con il nuovo (ormai non più tanto) assetto del Titolo V della Costituzione, le Regioni sono divenute un importante centro di spesa. Le cronache degli ultimi anni ce lo hanno ricordato in modi talora coloriti, dai festini in stile antico-romano ai rimborsi fantasiosi di taluni consiglieri regionali, fino all’annosa vicenda dei vitalizi. In questa situazione, già di per sé non brillante, spiccano le Regioni a statuto speciale. Qui i vincoli di bilancio, l’attenzione ai costi standard o alle best practice semplicemente sono non pervenuti. Ma che senso ha, a 150 anni dall’unità d’Italia, mantenere queste oasi incontrollate di spesa sotto il feticcio della particolarità storico-geografica?

3. Ci sono circa ottomila società partecipate, ma attraverso meccanismi di “scatole cinesi” tale cifra può agevolmente salire a 10.000. La gestione di queste società spesso è opaca, non dovendo rispondere ai vincoli di trasparenza che molto lentamente si stanno facendo strada per la P.A. Molte di queste società generano perdite consistenti (il totale fa – 1,2 mld) nonostante ben 16 mld di trasferimenti, moltissime sono composte solo da un CdA (i quali da soli costano 1 mld l’anno) e ben tremila hanno meno di sei dipendenti. Il drastico sfoltimento di questa giungla, che si è rivelata l’ultima frontiera dello stipendificio clientelare, è ormai una priorità. Salvo che bisogna fare i conti col punto 1.

4. Anche in presenza di un governo “speedy”, come vorrebbe essere quello in essere, alcune procedure per implementare un provvedimento già approvato da un CdM sono a dir poco bizantine, con tutto il rispetto per Fozio e Costantino Porfirogenito. Il numero di passaggi legali e amministrativi necessari è a volte del tutto sproporzionato alle reali necessità. Se consideriamo, poi, che molti di questi passaggi si svolgono attraverso organi collegiali (e.g. Conferenza stato-città, commissioni parlamentari varie, Copaff, per l’esempio che Cottarelli riferisce alle pp. 189-191) il garantismo da cui scaturisce la procedura sfocia in un forzoso immobilismo. Lo snellimento di questi processi (e forse anche della costruzione delle norme attuative già in fase legislativa, si potrebbe aggiungere) è ormai una necessità ineluttabile se si vuole rendere efficiente la macchina pubblica.

Nel complesso, il saggio di Cottarelli è una lettura utile e gradevole. Alcuni potrebbero considerare il suo piano di revisione della spesa poco aggressivo rispetto a quanto si potrebbe fare. Ma la storia dimostra che solo una piccola parte è stato finora possibile implementare, un pensiero che chi immagina piani di tagli di spesa pubblica di 300 mld dovrebbe iniziare a considerare.

Polidori

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