Riforma costituzionale – 1
Occupandoci da sempre di “articolazione della democrazia” non possiamo scampare all’esame, o quantomeno a qualche commento, sulla prossima riforma costituzionale.
Prima, tuttavia, di affrontare con approccio tematico i singoli punti della riforma, vorrei fare due considerazioni di carattere preliminare, fermo restando il fatto che Forma non ha (ancora) maturato una posizione condivisa o un orientamento di voto sul referendum.
1. Molte partigianerie, poche idee.
La prima cosa da notare è che purtroppo molti stanno vivendo il referendum come una battaglia politica, talora ideologica, che poco o nulla ha a che fare col merito della riforma ma piuttosto col colore politico dei proponenti quando non addirittura con una lotta di potere intestina al PD.
Sul fronte del NO, se una chiusura pregiudiziale appare perfettamente coerente con il carattere del M5S (che è riuscito in sostanza a opporsi anche alla legge sulle unioni civili), appare onestamente incomprensibile l’opposizione di Berlusconi su temi che da sempre sono stati al centro della sua retorica, come la fine del bicameralismo perfetto o gli interventi per ottenere maggiore stabilità di governo. O meglio, diventano tutti comprensibili nell’ottica della lotta di potere che coinvolge la persona di Renzi, capace di far paura a tutto l’arco costituzionale per le sue innate capacità di creare consenso e di interpretare il sentiment del suo elettorato.
Non diversamente il fronte del SI. Salvo poche eccezioni, i maggiori sostenitori della riforma si rivelano in realtà semplicemente sostenitori della persona di Renzi, disposti a scommettere sul buon esito del referendum per rimanere sul carro del vincitore. La sostanziale assenza di un vero dibattito in re disegna uno scenario intellettualmente desolante.
2. Obiezioni di metodo
Specialmente nelle prime fasi del dibattito, la maggior parte delle argomentazioni che sono state prodotte dal fronte del NO riguarda la modalità con cui si è giunti a questa riforma. Nella fattispecie si è notato come Renzi abbia formato un governo che si giova di un ampio coinvolgimento del centro-destra utilizzando in sostanza voti ottenuti da qualcuno (Bersani) di tutt’altro orientamento, e che pertanto tale governo sarebbe ipso facto non legittimato a operare, e tantomeno in ambito costituzionale. È pure stato fatto notare come questo governo sia frutto del voto di un parlamento eletto con una legge (il cd. Porcellum) dichiarata incostituzionale e che, sebbene la Corte Costituzionale si sia già pronunciata sulla perfetta liceità della sua operatività, sul piano teorico il parlamento si sarebbe dovuto astenere almeno da interventi sulla Carta.
Tali obiezioni di metodo hanno un certo fondamento e possono anche essere condivisibili sul piano della sostanza. Tuttavia, dal momento che sul piano formale governo e parlamento hanno il pieno diritto di produrre una riforma costituzionale, sarebbe forse più sensato ragionare sul merito. Qualora infatti il testo si rivelasse una buona riforma, o anche solo un miglioramento dello status quo, avrebbe senso rifiutarlo per un pregiudizio sugli attori? Anche in queste faccende sembra prioritario che il gatto acchiappi il topo rispetto al fatto che si tratti, forse, del gatto sbagliato.
Un’obiezione di metodo, tuttavia, possiamo elevarla noi, sebbene possa situarsi solo a livello teorico. Una popolazione largamente disinformata, priva di strumenti di intelligenza critica, facilmente orientabile da contingenze pratiche, è il soggetto migliore a cui chiedere un parere su una complessa riforma costituzionale? Il lettore ci perdonerà la domanda retorica.
Polidori
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