Quello che Monti non ha detto

Un paio di giorni fa si è consumato un botta e risposta a distanza tra l’ex premier Mario Monti e i suoi ex colleghi di partito, il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda e la sen. Linda Lanzillotta. Vale la pena ripercorrere brevemente la querelle perché davvero esemplificativa di come la comunicazione politica sia cambiata negli ultimi mesi.

Le frasi incriminate del professore si possono riassumere in due brevi considerazioni: «Il mio governo in pochi giorni ha fatto riforma delle pensioni e della tassazione, introducendo di fatto una patrimoniale. Riforme concrete, non slides. […] ma realizzare vuol dire scontentare». Secondo il senatore a vita, in altre parole, nella attuale situazione, qualsiasi azione di governo che voglia essere davvero incisiva andrà necessariamente a scontentare uno o più segmenti elettorali e, poiché Renzi non ha intenzione di perdere le prossime elezioni, la sua efficacia rimane modesta e, anzi, talora si ferma alla comunicazione più o meno priva di sostanza.

Ora le risposte. Istituzionale quella della vicepresidente del Senato Lanzillotta: «Per cambiare occorrono leader capaci di convincere i cittadini che le riforme non sono una punizione. È la differenza tra tecnocrazia e buona politica. Questa è la sfida di Renzi: costruire il consenso per le riforme.» Caustico, invece, Carlo Calenda (che, pure, era terzo in lista per SC alle scorse politiche e non fu eletto per un soffio) che non crede che, «come dice Monti, governare significhi scontentare. È una visione semplicistica ed elitaria, presuppone che i cittadini non siano in grado di capire il cambiamento».

L’aspetto più interessante di questo che può solo sembrare un innocuo scambio di battute, è che esso rivela il grande deficit di verità che affligge in maniera ormai trasversale la comunicazione politica. Scelta Civica, infatti, era nata anche per costruire un’alternativa basata sulla credibilità in una politica condizionata dallo stile comunicativo di Berlusconi, efficace ma molto spesso consapevolmente mendace.

Calenda sembra voler raschiare il fondo del barile. Sono infatti almeno 5 anni che gli studi OCSE dimostrano chiaramente che un solo elettore su 5 dispone degli strumenti minimi di intelligenza critica per poter scegliere in maniera ragionata e consapevole tra diverse offerte politiche, mentre circa uno su due è “analfabeta di ritorno”. In quest’ottica affermare che “gli elettori sono in grado di capire” è nella migliore delle ipotesi un wishful thinking, ma più realisticamente una captatio benevolentiae verso un elettorato che, peraltro, già una volta non ti ha eletto. In altre parole, demagogia di infima lega.

Assai più fine la sen. Lanzillotta. È vero, nelle democrazie, la costruzione del consenso viene prima dell’azione di governo e su essa si basa. C’è però un dettaglio non irrilevante nella questione: costruire consenso non significa vendere fiabe o fare il gioco delle tre carte mescolando nuove cripto-tasse a bonus fiscali, ma spiegare che scelte che mettono in discussione privilegi e “diritti acquisiti” sono necessarie alla collettività (dunque anche a chi nell’immediato perde un privilegio). Si può dubitare che Renzi stia tentando di spiegare a un elettorato analfabeta che, ad esempio, una politica economica d’impronta liberista può essere “di sinistra”, e ancor di più che poi voglia realmente perseguire gli obiettivi che dichiara (regolarizzare di schianto 150.000 precari della scuola, ad esempio, suona più CGIL tassa-e-spendi che razionalizzazione della spesa). E comunque – detto fuori di denti – se avessimo un governo in grado di fare ciò che serve e basta, al diavolo la “buona politica” e viva la tecnocrazia.

Ma un po’ di amarezza, questa volta, ce la fornisce anche il professore. È vero, infatti, che l’introduzione di una patrimoniale costituisce una novità nel sistema fiscale italiano. Un’innovazione di cui probabilmente c’era bisogno e che esiste più o meno ovunque nelle grandi nazioni occidentali. Ma per poterla definire una riforma, forse ci si sarebbe aspettato che questa patrimoniale “giusta” magari sostituisse, o se non altro alleggerisse, una tassa meno giusta, ad esempio quell’IRAP criticata duramente anche dall’UE. Così non è stato e forse non c’è da farne un motivo di vanto.

In conclusione chi più, chi meno, falsifica, distorce od omette. La verità è sempre più ciò che manca alla comunicazione politica di questo secolo. Sempre più, e sempre più sfacciatamente, la realtà viene piegata alle esigenze del proprio messaggio politico, quando non distorta a fini di propaganda. Anche gli insospettabili non sono più immuni da questo morbo. Un segno, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del lento declino di questa nazione.

 

Polidori

 

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